Sebi

(Francesco Greco 2024)

 

«Sebastiano, ascoltami bene: la vita è una cosa meravigliosa, non dimenticarlo mai!» si sentì dire.

Ricordava benissimo. Aveva undici anni, un mese e due giorni di vita. Se si sforzava gli veniva in mente anche la cadenza precisa di quelle parole; ma per un caso strano del destino, o forse per la forte emozione che quella frase provocò nel suo animo, non riuscì mai a ricordare chi l’avesse pronunciata.

Domandò a quasi tutte le persone che conosceva, ma ricevette solo sguardi di compiacimento e più di uno gli disse che probabilmente si trattava di un sogno. Ma lui si sentiva sicuro: quelle parole le aveva ascoltate quanto era assolutamente sveglio, anche per questo motivo ricordava con precisione la sua età.

Comunque al di là di chi l’avesse pronunciata, quell’affermazione restò scolpita nella profondità del suo animo di preadolescente e spuntava fuori con regolarità a volte anche stimolata da una canzone o da qualche poesia letta a scuola.

 

All’inizio fu semplice cogliere la meraviglia della vita. Sebastiano viveva in un piccolo paesino, dove tutti si conoscono e dove i rapporti umani sono intensi. A lui bastava poco per essere felice e sereno, le sue esperienze gli apparivano amabili e piacevoli.

Come tutti i preadolescenti, però, la vita lo mise alla prova, tanto da fargli prendere coscienza che quel castello di cose belle e interessanti che si era costruito nell’infanzia e anche nella scuola media, rischiava di crollare rovinosamente.

La vita piano piano si mostrò nella sua durezza: il dolore della quotidianità, il guardare le cose e le persone con gli occhi di un adolescente smaliziato, contribuì a minare le sue certezze. A volte la notte non dormiva perché gli sembrava che la sua esistenza fosse una cosa piatta, di routine, senza stimoli e senza esperienze interessanti ed emozionanti.

Davanti a questa consapevolezza a volte piangeva segretamente di notte nella sua stanzetta, non certo per la disperazione, ma perché la voce di quello sconosciuto la sentiva come una cosa sempre presente dentro di sé e si faceva faticosamente spazio tra i suoi pensieri e le sue convinzioni per insistere sulla meraviglia della vita. 

 

Sebastiano non mollò: doveva portare avanti quella certezza a tutti i costi. Immaginò di essere come un cavaliere che lotta per un ideale, e decise - malgrado tutto - di considerare la vita come una cosa splendida, anche se alcune volte non riusciva proprio a vederla e solo raramente esultava di stupore e di ammirazione per le semplici cose che svelavano il vero volto della sua esistenza.

 

Così arrivò facilmente alla conclusione che la sfida si doveva affrontare ogni giorno: si convinse che la vita stessa era gelosa e mostrava con parsimonia la sua bellezza.

 

Quando ebbe sedici anni, a scuola, un suo compagno non finiva più di bestemmiare intercalando le maledizioni con l’affermazione: “La vita fa schifo!”.

Sebastiano lo osservò senza dire nulla, anche se - per la verità - avrebbe voluto tentare di convincerlo del contrario; ma prese il sopravvento la sua curiosità per cogliere i motivi della sua rabbia.

Nei giorni successivi immaginò possibili risposte che avrebbe potuto dare, ma nessuna gli sembrava idonea, e si mise alla ricerca finché ebbe l’intuizione che la meraviglia della vita bisognava saperla vedere.

“Devi saper guardare bene la tua vita, non è poi così brutta come credi” disse qualche giorno al coetaneo, facendo un largo sorriso.

Il giovane abbassò semplicemente gli occhi. Il tono della voce e il modo in cui Sebastiano pronunciò la frase dicevano molto di più di quanto comunicavano le parole.

Quella sera andò a letto soddisfatto e felicissimo perché la vita è anche sapere dare un sorriso nel modo e nel momento giusto: la vita vera, quella fatta di cose semplici si esprime anche nelle cose quotidiane, negli sguardi, nelle pacche sulle spalle, nei gesti delle persone… questa cosa lo faceva piangere di tenerezza.

 

Il passo successivo fu la scoperta di Dio. E fu così che si buttò a capofitto a leggere la bibbia, a partecipare a tutte le funzioni liturgiche, tanto che in paese le malelingue gli rimproveravano di essere diventato un “paucciano”, un frequentatore assiduo di messe, preghiere e processioni che poi vive senza valori.

Un giorno una professoressa, gli chiese il motivo che lo spingeva ad andare in chiesa e a parlare spesso delle funzioni religiose del suo paese.

«Vado perché li c’è Dio, per pregarlo e poi io faccio il servizio all’altare!» rispose con naturalità, come se la cosa fosse ovvia, normale, quasi irrinunciabile, spiazzando la docente.

«Pensavo che tu avessi il desiderio di diventare prete» si giustificò.

Sebastiano la fissò intuendo come la donna non concepiva il fatto che un giovane facesse il ministrante e lo esprimesse apertamente nei suoi ragionamenti. Cercò di spiegare.

«Prof vivere è un mestiere difficile, se non ci affidiamo a colui che ci ha creati diventa sempre più difficile. Quando vado in chiesa io mi sento veramente Sebastiano, mi sento libero, felice perché con me c’è il creatore, c’è Dio!»

La prof restò senza parole e gli fece un largo sorriso, a Sebastiano parve anche di vedere una lacrima spuntare dai suoi occhi.

Però si stupì lui stesso delle parole che aveva detto. Erano come suggerite da un ragionamento interiore. Ma era stato bello, quell’esperienza con la prof gli parve essere straordinaria!

 

Dunque trovare la meraviglia nella vita, da giovane, diventava sempre più difficile ma non impossibile, e cominciò con tutta la sua forza a cercare una via sicura. Si mise a leggere qualche testo, ma le cose scritte diventavano sempre più astratte e in lui cresceva la consapevolezza che vivere significava semplicemente svelare qualcosa di nascosto che gli occhi di una persona normale non riescono a vedere.

 

Sebastiano terminò gli studi con un voto eccellente. Diventò maggiorenne in fretta. Gli sembrò che i cinque anni di scuola superiore fossero volati via nella spasmodica ricerca della bellezza dell’esistenza e si ritrovò libero e felice. Sì: con tanto stupore si riscoprì felice per quello che era e per come affrontava la vita.

 

Un sabato uscì con alcuni dei suoi ex compagni per una pizza. I suoi amici intavolarono i soliti discorsi su come approcciare alle ragazze, su vestiti firmati o su baldorie fatte assieme il sabato notte.

A Sebastiano piaceva sentire quel parlare, anche se lo considerava vuoto e con poco senso.

«Sebi te la fai una canna?» chiese Giuseppe, un suo amico dalle elementari.

«No sto bene così!» rispose con il solito sorriso.

«E dai! Un poco di sballo non fa male a nessuno!»

«Ti ho detto che sto bene così, sono felice» disse sempre con un particolare tono con il quale riusciva a donare molto senso alle parole che pronunciava.

«Sei fortunato ad essere felice» rispose Mario, un altro compagno.

«Ma tutti possiamo essere felici, la vita è una cosa bella!» esclamò.

«La vita è una cosa schifosa» riprese Mario con determinazione e quasi a voler demolire l’affermazione di Sebastiano, che reagì con un grande sorriso.

«Basta solo saper guardare» concluse.

Gli altri non dissero nulla, le sue considerazioni sembravano inattaccabili perché faceva intendere la coerenza tra le cose dette e le cose vissute.

 

Quella sera però un dubbio atroce lo colse: e se la “vita meravigliosa” fosse solo una bella favola o una semplice illusione? Perché molti non vedevano quello che lui riusciva a cogliere in ogni giorno della sua vita? Era lui un illuso, un sognatore staccato dalle realtà? 

Il tormento lo attanagliò per moltissimi giorni.

 

Dopo tanto tempo incontrò Mario.

«Scusami, Sebi» gli disse abbassando gli occhi.

«Perché? Perché mi chiedi scusa?” rispose Sebastiano

«Per quella sera, ti ho preso per stupido». 

«Ma io non mi sono sentito preso per stupido».

«Il discorso sulla vita meravigliosa… ma tu sei sicuro che è così? Io mi sento sempre triste e non ci credo… ma tu come fai?» chiese.

Sebastiano alzò le spalle, provò una specie di disagio. Prima di rispondere al suo amico doveva rispondere anche a sé stesso. Respirò e fece spazio tra i suoi pensieri, immaginò di aprire il suo cuore. Doveva dare una risposta prima al suo animo e dopo a Mario.

«Basta saper guardare attorno! Mi sveglio la mattina e penso al nuovo giorno. Mi accorgo di chi mi sta accanto… la mia famiglia… bellissimo… poi guardo alle cose che ho, pensando a chi non possiede nulla… a quello che posso fare… apro le finestre di casa e guardo il mondo… faccio un sorriso alle persone che mi vogliono bene… esco e saluto tutti… la vita è stupenda se sai osservare bene. E poi c’è la Provvidenza…» concluse con gli occhi lucidi.

«Forse hai ragione» rispose Mario.

Sebastiano gli mise la mano sulla spalla.

«Anche questo è meraviglioso!» disse.

Mario non si mosse, riprese fissandolo negli occhi:

«E se la vita ti chiede sacrifici?»

«È sempre bello».

«E come la metti con il dolore e la sofferenza?»

«Lì c’è Dio, c’è Gesù crocifisso, la vita è sempre bella!» rispose Sebastiano quasi sorprendendosi, non era lui a parlare, la voce interiore si fece spazio per rispondere a quella questione importante.

«Sei sicuro?»

«Sicurissimo!» rispose.

Mario diventò il suo amico fidato.

 

Sebastiano quella notte non dormì pensando al senso di quelle parole espresse con semplicità.

Dalle sue labbra uscì una preghiera.

“Signore sono pronto. Qualsiasi cosa tu mi chiedi io la farò, ma non finirò mai di ringraziarti per la meraviglia che è la vita.”

E si sentì pronto. Capì che da quel momento nulla gli poteva fare più paura.